Debra Libanos

il

di Roberto Abbiati e Lucia Baldini


Descrizione

 

Nel 1936 siamo arrivati nell’Africa orientale con il mito del colonialismo e abbiamo messo lì un vicerè, perché il re ce lo siamo tenuto in Italia, il governo ce l’aveva uno solo, il Mussolini, che si era scelto invece come soprannome “Duce”.

Quando è nato il principe di Napoli, Vittorio Emanuele di Savoia, bisognava festeggiare come nelle favole il re, la regina, il vicerè, il maresciallo, il duce, i soldatini e la banda.
L’Etiopia l’avevamo occupata con la guerra, una splendida e avventurosa guerra. Di battaglia in battaglia era diventata Italiana. Tutti si festeggiava il principino appena nato, in patria e nell’Impero.

Ma visto che eravamo fascisti e ci si comportava da imperialisti era come essere in guerra sempre, perché mica a tutti andava bene essere occupati, e al nostro vicerè gli fanno un attentato mentre brindava alla dinastia dei Savoia.

La rappresaglia italiana è immediata. Il Duce e il Graziani, che era il Vicerè, si raccomandano che i primi a essere “passati per le armi” siano i cantastorie. Così nessuno potrà raccontare e ricordare. Poi “passano” tutti gli altri: i sospettati e i neri. Cioè tutti.

A Debra Libanòs, l’antico monastero copto sulle montagne etiopi si “passano” i monaci e i pellegrini durante la grande festa di san Michele, così, quasi per gioco.

Io sono un cantastorie italiano e mi vergogno un po’ per quello che abbiamo combinato in Africa orientale. Mica come italiano, come essere umano.

Era bello il monastero e pieno di cultura prima che lo avvolgesse il silenzio.

… per saperne di più su Debra Libanòs

Dall’articolo di
Alberto Melloni su La Repubblica del 2 febbraio 2016

Debra? Libano?s e? un nome difficile da fissare nella memoria del nostro paese. Questa citta? monasti- ca, nel lembo nord dell’altipiano etiope dello Scioa?, di fronte alle lande incontaminate del Mens, fu oggetto di una grande strage di cristiani fra il 21 e il 29 maggio 1937. Le fonti contano un minimo di quattrocento vittime fra i religiosi, che salgono a millecinquecento, contando i fedeli.

La strage viene pianificata all’indomani dell’attentato del 19 febbraio a Rodolfo Graziani, vicere? dell’Africa orientale italiana. Ad Addis Abeba, due resistenti di origine eritrea, si intrufolano alla festa per la nascita del primogenito di Umberto di Savoia: lanciano granate, fuggono. Sette morti, cinquanta feriti, fra cui Graziani.

La mattanza viene fissata a maggio, attorno alla grande festa di san Mikael. La gestira? il generale Pie- tro Maletti, che fa annunciare la visita al monastero della seconda autorita? della chiesa copta, Tekle Ghiorghis, per attirare in trappola i monaci dei romitori e i pellegrini.
Il 18 maggio Maletti isola il monastero: chiude in chiesa i pellegrini e i monaci che trova rastrellando la citta? monastica.

Il mattino del 20 maggio inizia la mattanza, senza che gli altri prigionieri se ne rendano conto. Vengo- no uccisi per primi i disabili e gli ammalati, i cui cadaveri sono buttati nel fiume Gonjit. Al mattino del 21 alcuni camion iniziano a trasferire i prigionieri a Laga Wolde. Li? vengono bendati e uccisi: gli ascari controllano che nessuno si avvicini e sparano all’orecchio dei martiri per finirli. Poi li si fa rotolare nel dirupo.

Nel telegramma n. 25876 di quel giorno, Graziani si attribuisce il merito di aver «fatto passare per le armi» 296 monaci compreso il vicepriore e 23 complici: il resto non lo conta neppure.
A cose fatte Maletti si vanta di un’azione «opportuna e salutare »; e Graziani telegrafa a Roma: «Del convento di Debra? Libano?s non rimane piu? traccia».

da la Repubblica.it http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/02/11/debra-libanos-lultimo-oltrag- gio-a-quei-monaci-massacrati48.html


Date dello spettacolo

08/02/2019 11:00 - Teatro Rosetum